Caro materiali: il ricorso dell’ANCE al TAR contro il decreto MIMS

L’Associazione Nazionale dei Costruttori Edili (ANCE) ha presentato lunedì scorso un ricorso al TAR Lazio per chiedere l’annullamento della metodologia di rilevazione dei prezzi dei materiali per l’edilizia e del meccanismo di calcolo delle compensazioni per i rincari. Sotto accusa il decreto del MIMS dello scorso novembre sulle compensazioni per il primo semestre del 2021 e un sistema di rilevazione dei prezzi che porterebbe al riconoscimento e alla compensazione di soltanto il 33% dei maggiori costi effettivi sostenuti dalle imprese.

Se da un lato il ricorso al TAR concerne il decreto MIMS sulle compensazioni per il primo semestre del 2021, i segnali di guerra che i Costruttori mandano al Ministero delle Infrastrutture e al Governo riguardano anche i fronti attuali: il prossimo calcolo dei maggiori costi (e delle compensazioni) in attuazione del decreto ministeriale per il secondo semestre 2021 e la norma legislativa inserita nel Decreto Legge Ristori, approvata venerdì, e al momento nota in una prima bozza che sembra confermare ancora il metodo di calcolo del 2021 contestato dall’ANCE. Le riunioni che si sono tenute lunedì e martedì non hanno ancora prodotto un testo definitivo del Decreto Ristori.

«Avevamo apprezzato la volontà politica del Ministro Giovannini di riconoscere una soluzione per affrontare una situazione che si va facendo drammatica – dice il Presidente dell’ANCE, Gabriele Buia- ma contro questa soluzione si sono messi di traverso alcuni tecnocrati del Ministero con una metodologia del tutto sbagliata di rilevazione dei prezzi».

I rilievi che l’ANCE muove a questa metodologia nel ricorso sono pesantissimi. Si parla di «assenza di criteri univoci di rilevazione e in presenza di dati evidentemente irragionevoli e contraddittori trasmessi da Provveditorati, Unioncamere e lSTAT» che «hanno rilevato una percentuale del tutto irragionevole e di gran lunga inferiore all’aumento reale registrato sul mercato» (con differenze che arrivano a punte dell’88,6%). La stessa ISTAT – dice il ricorso – ha ammesso di non avere la struttura adeguata per svolgere il lavoro.

Ma il paradosso si raggiunge con i Provveditorati alle opere pubbliche. Infatti, non risulta pervenuta alcuna rilevazione da Puglia, Molise e Basilicata. Altre Regioni, invece, hanno inviato tabelle con nessuna o alcune soltanto delle voci di prezzo. In particolare, nessun dato è stato fornito da Lazio e Sardegna; così come l’Umbria ha rilevato soltanto le variazioni di prezzo di due materiali su 15. Emblematico il caso dell’Emilia-Romagna, che ha registrato, per 10 materiali su 15, una variazione percentuale pari allo 0%, indicando per il 2021 i medesimi prezzi medi del 2020, «che tra l’altro, da un raffronto con le rilevazioni prodotte nell’ambito dell’istruttoria per l’adozione del “decreto prezzi” del 27 marzo 2018, risultano coincidere con quelli del 2016, sicché i prezzi dovrebbero essere bloccati da 6 anni». Contestata anche l’enorme fluttuazione tra i dati forniti dai Provveditorati sia in termini di prezzi in valore assoluto che di variazioni percentuali. Nel ricorso, si mette in evidenza come per lo stesso materiale esistano scarti di decine di punti percentuali tra le varie regioni. Un divario «difficilmente giustificabile in relazione alla tipologia dei materiali in questione, ovvero alla struttura dei mercati cui si riferiscono, aventi per natura dinamiche pressoché omogenee sull’intero territorio nazionale». Con la conseguenza «che il Ministero, operando in maniera puramente formalistica e irragionevole sui dati anomali e disomogenei rilevati da Provveditorati, Unioncamere e ISTAT, ha prodotto una “fotografia” del mercato delle costruzioni disancorata dal reale andamento dei prezzi».

Il Ministero – dice il ricorso – «avrebbe avuto due possibilità: procedere a una verifica specifica del dato, onde testarne la veridicità, o accantonare il dato con decisione motivata di non utilizzarlo, stante la palese inattendibilità. Nessuna delle due strade, però, risulta essere stata percorsa, con conseguente illegittimità». Sarà il giudice a decidere se il ricorso ANCE sia fondato. Si tratta, per altro del quarto ricorso negli ultimi quindici anni, sempre sulla metodologia della rilevazione, ma mentre in passato la questione riguardava pochi materiali, ora il fenomeno riguarda praticamente tutti i materiali dell’edilizia e sta mettendo in ginocchio il settore. Il 9 marzo sempre il TAR Lazio deciderà su un precedente ricorso relativo al decreto prezzi del 2018, che era stato impugnato dalle imprese per ragioni del tutto analoghe. «Attendiamo fiduciosi la decisione del giudice – dice Buia – ma intanto prendiamo atto con soddisfazione di una CTU realizzata da professionisti molto autorevoli che smonta il meccanismo di rilevazione».

 

Fonte: Il Sole 24 Ore

Allegati